Acquisti centralizzati nei comuni

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Tutti i comuni non capoluogo dovranno centralizzare gli acquisti; non potranno essere presenti più di 35 «soggetti aggregatori» della domanda pubblica di beni e servizi su tutto il territorio nazionale; istituito un fondo per promuovere la costituzione di centrali di committenza; le amministrazioni dovranno pubblicare i dati sulla spesa in beni e servizi e sulla tempestività nei pagamenti; obiettivo finale è quello di ridurre di 2,1 miliardi la spesa delle amministrazioni locali, regionale e statali e di 400 milioni quella per la difesa. Sono queste le principali novità in tema di riduzione della spesa pubblica contenute nella nuova versione del testo del decreto-legge approvato venerdì scorso, ancora in fase di limatura prima del varo ufficiale che avverrà con la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale. Un punto molto delicato è quello sulla necessità di ridurre i centri di spesa, obiettivo che il presidente del consiglio vorrebbe raggiungere portando a una cinquantina di mega centrali di committenza le diverse migliaia di stazioni appaltanti. Al riguardo due sono i versanti sui quali si attiva questa riduzione: quello degli enti locali e quello regionale. Nel primo caso il provvedimento, che prima prevedeva oneri per i comuni con popolazione oltre i 180 mila abitanti, adesso si rivolge a tutti i comuni non capoluogo che quindi dovranno procedere all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti, oppure costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni stessi o ancora ricorrendo ad un soggetto aggregatore (centrale di committenza).
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