Piccole imprese penalizzate dai mega lotti negli appalti

Macro lotti di importo tale da precludere la partecipazione alla stragrande maggioranza degli operatori economici del mercato

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FATTO

Le ricorrenti premettono che Roma Capitale, nel rieditare la procedura di gara per l’affidamento dei servizi accessori al funzionamento delle strutture scolastiche in precedenza annullata con sentenza di questo Tribunale n. 4407 del 2016, avrebbe violato norme e principi fondamentali a presidio della libera concorrenza, impedendo alle piccole e medie imprese di prendere parte alla gara.

La Confartigianato imprese Roma evidenzia di essere un’associazione rappresentativa di circa 8.000 piccole e medie imprese operanti nel territorio di Roma e Provincia, mentre la Coculo Terenzio e Figli espone di essere un’impresa operante nel settore di gara che non possiede il requisito finanziario necessario a consentirle la partecipazione individuale ad uno o più lotti della selezione, per cui ritengono che gli atti impugnati, di disciplina della gara, siano direttamente lesivi della loro sfera giuridica.

Il ricorso è articolato nei seguenti motivi di impugnativa:

Violazione degli artt. 30, 51 e 83 d.lgs. n. 50 del 2016. Violazione dei considerando nn. 2, 59, 78, 79 e 124 della direttiva 2014/24/UE. Eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione del principio di proporzionalità.

La disciplina previgente, estremamente centrata sull’obiettivo di contenere la spesa pubblica, privilegiava l’aggregazione dell’acquisto da parte dei soggetti tenuti al rispetto dell’evidenza pubblica, mentre oggi la situazione si sarebbe ribaltata e la direttiva 2014/24/UE, tra i suoi considerando, evidenzierebbe in particolare che le previgenti direttive vanno riviste ed aggiornate per facilitare in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.

La direttiva, in sostanza, vedrebbe gli appalti pubblici come un importante motore di crescita dell’economia europea, che si può realizzare solo per mezzo dell’ampliamento della partecipazione delle piccole e medie imprese al mercato dei contratti pubblici.

Il nuovo codice seguirebbe le indicazioni comunitarie e disegnerebbe un sistema di gare pubbliche estremamente inclusivo: in particolare, occorrerebbe riferirsi agli artt. 30, 51 e 83, tutti violati dagli atti impugnati.

La strutturazione dell’appalto in esame, ancorché lo stesso sia formalmente suddiviso in lotti, presenterebbe diversi vizi.

Il mercato italiano dei servizi in esame si connoterebbe per la presenza di un gruppo ristretto di quattro/cinque operatori e da numerosissime imprese di dimensione media e piccola, per cui queste ultime dovrebbero dare vita a raggruppamenti temporanei molto estesi per conseguire il requisito economico-finanziario o altrimenti dovrebbero trovare l’accorso con un grande player.

La gara prevedrebbe dei macro lotti di importo tale da precludere la partecipazione alla stragrande maggioranza degli operatori economici del mercato.

La stazione appaltante, nel definire la parcellizzazione in lotti ed il loro valore a base d’asta con il conseguente requisito economico finanziario, non avrebbe considerato la struttura del mercato oppure avrebbe optato per una soluzione tale da favorire le imprese di una determinata scala implicando l’espulsione dal mercato di tutte le altre.

Non emergerebbe, dalla lettura della determina a contrarre, la motivazione che avrebbe indotto l’amministrazione, da un lato, ad accorpare in un unico global service prestazioni economicamente e strutturalmente assai differenti, dall’altro, a disegnare le dimensioni dei singoli lotti.

Le tre prestazioni principali di cui si compone il global service sarebbero eterogenee tra loro ed il loro accorpamento avrebbe l’effetto di limitare la concorrenza. Le stesse avrebbero un peso economico diverso (servizio di ausiliarato, 72,75% del totale; servizio di pulizia, 18,40% del totale; servizio di manutenzione aree verdi, 8,85% del totale) e l’aver accorpato ad una prestazione di elevatissimo valore, quale quella dell’ausiliarato, due prestazioni di valore più modesto, avrebbe l’effetto di tagliare fuori le piccole e medie imprese da questi specifici mercati.

Il sovradimensionamento della gara dovrebbe produrre la partecipazione alla stessa di un numero limitatissimo di operatori economici con la conseguente applicazione della clausola del bando che consente l’aggiudicazione ad unico soggetto di tutti i lotti e la sterilizzazione dell’effetto pro-concorrenziale del vincolo di aggiudicazione.

Il bando di gara imporrebbe illogicamente che per partecipare a più lotti il concorrente debba possedere un fatturato pari alla somma dei singoli lotti.

La stazione appaltante avrebbe previsto l’attribuzione di un punteggio eccessivo (10 punti sui 60 totali per la parte qualitativa) al rating di legalità.

In presenza di un rischio di lock in, l’aggregazione della fornitura favorirebbe la nascita di un fornitore dominante e, quindi, la creazione di elevati costi di transizione che l’acquirente sarà costretto a sostenere per cambiare fornitore.

Roma Capitale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti e, nel merito, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.

L’istanza cautelare è stata accolta con ordinanza di questa Sezione 10 novembre 2016, n. 7140, “considerato che, ad una prima delibazione, il ricorso non appare sprovvisto di fumus boni iuris con riferimento alla possibile lesione del principio del favor partecipationis in danno delle piccole e medie imprese di settore”.

Le parti hanno depositato altre memorie a sostegno delle rispettive difese.

All’udienza pubblica dell’11 gennaio 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.

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