Limitazioni su base territoriale dell’autorizzazione

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In tema di esercizio del commercio in forma itinerante sulle aree demaniali marittime, è contraria alla Costituzione, e in specie al principio di massima liberalizzazione delle attività economiche, la norma della LR del Veneto che, stabilendo che «Ciascun operatore non può essere titolare di nulla osta in più di un comune», lede in particolare l’art. 19 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), a tenore del quale «L’autorizzazione permette al prestatore di accedere all’attività di servizi e di esercitarla su tutto il territorio nazionale […] fatte salve le ipotesi in cui la necessità di un’autorizzazione specifica o di una limitazione dell’autorizzazione ad una determinata parte del territorio per ogni stabilimento sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale».
Con la Sentenza 14.3.2014, n. 49, la Corte costituzionale si è pronunciata sull’art. 16 della legge regionale del Veneto n. 55 del 2012 – introduttiva del comma 4-bis nell’art. 48-bis della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 (Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo), in tema di esercizio del commercio in forma itinerante sulle aree demaniali marittime, stabilendo che «Ciascun operatore non può essere titolare di nulla osta in più di un comune» – sancendone l’illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., attesa la violazione dei principii di «tutela della concorrenza e del mercato», ed in particolare per la lesione, in assenza delle specifiche condizioni, dell’art. 19 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), che stabilisce che «L’autorizzazione permette al prestatore di accedere all’attività di servizi e di esercitarla su tutto il territorio nazionale […] fatte salve le ipotesi in cui la necessità di un’autorizzazione specifica o di una limitazione dell’autorizzazione ad una determinata parte del territorio per ogni stabilimento sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale».
Nell’ampia motivazione, la Corte ha rammentato di aver già rilevato, con la sentenza n. 98 del 2013, che a siffatto regime autorizzatorio – che dà, appunto, allo Stato la facoltà di limitare la finalità di massima liberalizzazione, perseguita dalla “direttiva servizi” e dal decreto legislativo attuativo della stessa, solo ove sussistano motivi imperativi di interesse generale (quali appunto anche quelli derivanti dalla scarsità delle risorse naturali, che determina la necessità della selezione tra i diversi candidati) – l’art. 70, comma 5, dello stesso decreto legislativo n. 59 del 2010, a sua volta, consente espressamente di derogare, con specifico riferimento al commercio al dettaglio su aree pubbliche. E’ infatti previsto che, «Con intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, anche in deroga al disposto di cui all’articolo 16 del presente decreto, sono individuati, senza discriminazioni basate sulla forma giuridica dell’impresa, i criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto ed a quelle prorogate durante il periodo intercorrente fino all’applicazione di tali disposizioni transitorie».
Trattandosi di regolamentazione normativa che la Corte ha ritenuto «indiscutibilmente riconducibile alla materia “tutela della concorrenza” (che si attua anche attraverso la previsione e la correlata disciplina delle ipotesi in cui viene eccezionalmente consentito di apporre dei limiti all’esigenza di tendenziale massima liberalizzazione delle attività economiche: sentenza n. 291 del 2012)», la decisione sopra indicata ha dunque ribadito che «è alla competenza esclusiva dello Stato che spetta tale regolamentazione, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.», essendo inibiti alle Regioni interventi normativi diretti ad incidere sulla disciplina dettata dallo Stato, finanche in modo meramente riproduttivo della stessa (sentenza n. 245 del 2013, che richiama le sentenze n. 18 del 2013, n. 271 del 2009, n. 153 e n. 29 del 2006).
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corte_costituzionale_sentenza_49_2014

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