Revisione pianta organica farmacie

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3867 del 2013, proposto da:
…, rappresentati e difesi dall’avv. Guglielmo Saporito, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Provincia di Reggio Emilia, Comune di Montecchio Emilia, Comune di Boretto, rappresentati e difesi dall’avv. Paolo Coli, con domicilio eletto presso Massimo Colarizi in Roma, viale Bruno Buozzi N. 87;
Comune di Reggio Emilia, rappresentato e difeso dall’avv. Santo Gnoni, con domicilio eletto presso Grez e Associati Srl in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
Comune di San Martino in Rio, rappresentato e difeso dall’avv. Guglielmo Saporito, con domicilio eletto presso A. Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
Ministero della Salute, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Novellara, rappresentato e difeso dall’avv. Rosaria Russo Valentini, con domicilio eletto presso Maria Rosaria Russo Valentini in Roma, piazza Grazioli N.5;
Regione Emilia Romagna;
Azienda Speciale Farmacie Comunali Riunite, rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Astolfi, Sonia Selletti, Fabrizio Paoletti, con domicilio eletto presso Fabrizio Paoletti in Roma, via G. Bazzoni, 3;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – SEZ. STACCATA DI PARMA: SEZIONE I n. 00328/2012, resa tra le parti, concernente revisione pianta organica delle farmacie nella provincia di Reggio Emilia

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Reggio Emilia e di Comune di Reggio Emilia e di Comune di Montecchio Emilia e di Comune di San Martino in Rio e di Comune di Boretto e di Ministero della Salute e di Comune di Novellara e di Azienda Speciale Farmacie Comunali Riunite;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2013 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti gli avvocati Saporito, Colarizi su delega di Coli e di Gnoni, Russo Valentini, Astolfi e dello Stato Spina Maria Luisa;

Ritenuto, previo avviso alle parti, di poter definire la controversia immediatamente all’esito della camera di consiglio cautelare, come previsto dall’art. 60, c.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il presente contenzioso ha per oggetto la delibera del Consiglio Provinciale di Reggio Emilia, n. 55 del 12 aprile 2012, con la quale è stata approvata la revisione della pianta organica delle farmacie.

La delibera è giunta all’esito del procedimento avviato con riferimento al biennio 2007/2008, secondo le leggi n. 475/1968 e n. 362/1991, e in applicazione dei criteri ivi previsti.

La delibera prevede, fra l’altro, l’istituzione di un certo numero di nuove sedi farmaceutiche; e prevede altresì che sette (su otto) di queste siano offerte in prelazione ai rispettivi Comuni: Boretto, Montecchio nell’Emilia, Novellara, San Martino in Rio, Viano, e Reggio nell’Emilia (due sedi).

2. La delibera è stata impugnata davanti al T.A.R. dell’Emilia-Romagna, sezione di Parma, da alcuni farmacisti, nella parte in cui riserva le suddette nuove sedi (con l’eccezione di quella del Comune di Viano) alle rispettive amministrazioni comunali. I ricorrenti, invero, si dichiaravano interessati a partecipare al concorso straordinario per l’assegnazione delle farmacie di nuove istituzione o comunque vacanti, di cui all’art. 11, comma 3, del decreto legge n. 1/2012; ed interessati, dunque, a che siano messe a concorso anche le nuove sedi istituite con la delibera in questione.

Quale motivo dell’impugnazione, i ricorrenti deducevano che l’art. 11 del decreto legge n. 1/2012, convertito in legge n. 27/2012 (entrata in vigore il 25 marzo 2012), prevede, fra l’altro: (a) la modifica dei parametri demografici delle sedi farmaceutiche e di conseguenza l’istituzione di un rilevante numero di nuove farmacie; (b) l’indizione di un concorso straordinario per l’assegnazione delle nuove farmacie così istituite, e di quelle vacanti; (c) l’esclusione del diritto di prelazione dei Comuni sulle nuove sedi di cui sopra e su quelle «comunque vacanti».

Nel giudizio di primo grado si sono costituiti la Provincia di Reggio Emilia e i comuni di Reggio nell’Emilia, Montecchio Emilia, San Martino in Rio, Boretto e Novellara, sollevando eccezioni preliminari e contestando il fondamento del ricorso nel merito. Ha spiegato intervento ad opponendum l’Azienda Speciale Farmacie Comunali Riunite.

3. Il ricorso è stato deciso dal T.A.R. Parma con sentenza n. 328/2012. La sentenza, volutamente prescindendo dall’esame delle eccezioni preliminari, ha giudicato il ricorso infondato nel merito.

La sentenza è appellata dagli originari ricorrenti, i quali ne chiedono anche la sospensione. Si sono costituite le amministrazioni pubbliche già resistenti in primo grado, come meglio indicato in epigrafe.

In occasione della trattazione della domanda cautelare, il Collegio ha ravvisato la possibilità di una definizione immediata della controversia e ne ha dato avviso alle parti; non sono state formulate obiezioni.

4. Si debbono prendere in esame innanzi tutto le eccezioni preliminari proposte rispettivamente contro l’atto d’appello e contro il ricorso di primo grado.

4.1. Dell’atto di appello viene eccepita l’inammissibilità con l’argomento che esso sarebbe sostanzialmente privo di motivazione, in quanto si limiterebbe a riproporre gli argomenti già dedotti in primo grado, senza formulare specifiche censure contro la sentenza appellata e le sue argomentazioni.

Il Collegio osserva che in effetti l’atto di appello appare motivato sobriamente, ma questo non può essere considerato di per sé un vizio, tenuto conto del dovere di sinteticità dettato dall’art. 3, comma 2, del codice del processo amministrativo.

E’ poi vero che l’art. 101 del codice richiede che l’atto di appello contenga «le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata», ma la verifica se tale dovere sia stato assolto o meno va condotta, con metodo non formalistico e caso per caso, in proporzione al numero e alla qualità delle questioni discusse ed all’ampiezza della disamina che ne sia stata fatta nella sentenza appellata.

Ora, in questo caso, la sentenza si segnala perché concentrata, nel merito, intorno ad una unica e ben precisa questione, a sua volta di non consueta semplicità e nettezza. A fronte del dettato della norma che dispone «sulle sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1 [dell’art. 11 del d.l. n. 1/2012] o comunque vacanti non può essere esercitato il diritto di prelazione da parte del comune», il T.A.R. ha ritenuto che tale divieto non riguardi le sedi in contestazione, basandosi sulla petizione di principio che, nella lingua italiana, la parola “vacante” designi specificamente ed esclusivamente il posto che sia venuto a risultare scoperto per effetto della cessazione di chi ne era titolare, e non anche quello che sia scoperto perché istituito recentemente e non ancora provvisto di un titolare. Nulla viene detto riguardo alle ragioni che giustificherebbero – in via generale e/o in questa particolare vicenda – la rilevanza di tale distinzione e la conseguente diversità di regime giuridico.

Gli appellanti negano invece che la parola “vacante” si possa intendere in modo così restrittivo, quanto meno nel contesto della norma in esame, dove l’ampiezza del significato viene rafforzata dall’abbinamento alla parola “comunque”.

I termini della questione sono tali che la relativa brevità del testo dell’appello non impedisce di coglierne il senso e le implicazioni, e di formulare un giudizio in merito.

L’eccezione d’inammissibilità sollevata contro l’atto di appello va dunque respinta.

4.2. Si esaminano ora le eccezioni sollevate contro il ricorso di primo grado, tutte riconducibili, sia pure con diverse accentuazioni, al tema del supposto difetto d’interesse.

In proposito si osserva che l’interesse a ricorrere si identifica con quello ad ottenere l’ampliamento del numero delle sedi farmaceutiche messe a concorso con la procedura straordinaria di cui all’art. 11 del decreto legge n. 1/2012. Tale ampliamento giova indistintamente a tutti i concorrenti: quante più sono le sedi a concorso, tanto maggiori sono per ciascuno le chances di ottenere la sede preferita, e comunque una sede. Non rileva, sotto questo profilo, che la sede (più) desiderata dal singolo ricorrente si identifichi o meno con una di quelle oggetto della contestazione, perché l’inserimento di ulteriori sedi comporta sempre un effetto utile.

Ciò posto, ne consegue: (a) che gli aspiranti concorrenti hanno un interesse effettivo a che le sedi astrattamente disponibili non vengano sottratte al concorso per effetto della prelazione dei Comuni; (b) che non vi è conflitto di interesse fra i ricorrenti che agiscano insieme per evitare tale sottrazione (il conflitto di interesse vi sarebbe invece se più ricorrenti agissero congiuntamente per abbassare i requisiti di partecipazione e quindi aumentare il numero dei concorrenti, fermo restando il numero dei posti messi a concorso).

4.3. Altra questione è se l’interesse a ricorrere sia attuale sin dal momento dell’approvazione della delibera impugnata, o se al contrario per aversi un interesse attuale sia necessaria la pubblicazione del bando di concorso. Il Collegio ritiene preferibile la prima soluzione.

L’approvazione della pianta organica, con la contestuale offerta delle sedi in prelazione, è un atto immediatamente lesivo, prima ancora della pubblicazione del bando del concorso. Ed invero, quando sarà emanato il bando, quest’ultimo non potrà metter a concorso che le sedi che in quel momento saranno disponibili, e quelle offerte in prelazione ai Comuni non lo saranno più. Rispetto all’emanando bando di concorso, l’offerta in prelazione ai Comuni non è un atto endoprocedimentale, ma un mero presupposto di fatto che concorre con altri a determinare il numero delle sedi disponibili per concorso.

4.4. Si potrebbe dire, al più, che dopo aver impugnato la delibera in oggetto, gli interessati avranno l’onere di impugnare anche il successivo bando di concorso, pena l’improcedibilità del ricorso già proposto. Ma in questo caso gli appellanti, nella memoria depositata in prossimità della camera di consiglio cautelare, hanno dichiarato di avere impugnato la recente delibera regionale (n. 60/2013) recante l’indicazione delle sedi messe a concorso, e questa affermazione di fatto non è stata smentita.

4.5. In conclusione, tutte le eccezioni preliminari vanno disattese.

5. Passando ora al merito, viene in considerazione l’art. 11 del decreto legge n. 1/2012, come modificato dalla legge di conversione n. 27/2012.

5.1. Il comma 1 modifica i parametri demografici per la determinazione del numero delle sedi farmaceutiche spettanti a ciascun Comune; la conseguenza (comma 2) è il potere-dovere dei Comuni di procedere all’individuazione delle nuove sedi farmaceutiche.

Il comma 3 dispone che ciascuna Regione bandisca un concorso straordinario per l’immediata copertura «delle sedi farmaceutiche disponibili di cui al comma 2 e di quelle vacanti» e aggiunge che in deroga alle norme generali «sulle sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1 o comunque vacanti non può essere esercitato il diritto di prelazione da parte del comune». Si può dare per incontroverso, nel presente giudizio, che le due disposizioni, benché formulate con espressioni leggermente diverse, riguardino le medesime sedi; in altre parole, le sedi farmaceutiche per le quali è introdotto il divieto di assegnazione ai Comuni sono le stesse che debbono essere bandite nel concorso straordinario, e viceversa.

5.2. Il punto ora in discussione è se le nuove sedi istituite con la pianta organica approvata con la delibera n. 55 del 12 aprile 2012 (data nella quale erano già entrate in vigore le nuove disposizioni e non erano ancora scaduti i termini per gli adempimenti conseguenti) ricadano nel divieto di prelazione comunale e nell’obbligo di copertura mediante il concorso straordinario. I ricorrenti sostengono la tesi affermativa, basandosi essenzialmente sulla portata ampia ed inclusiva della espressione «sedi comunque vacanti».

La sentenza appellata ha invece recepito la tesi contraria, basandosi sulla petizione di principio che nella lingua italiana la parola “vacante” si riferisca specificamente ed esclusivamente ad una sede che sia divenuta tale per effetto della cessazione di chi ne era titolare, e non anche a quella che non sia mai stata coperta, perché di recente istituzione. Peraltro, sempre secondo la sentenza appellata, le sedi di cui si discute non rientrerebbero neppure nella previsione relativa alle «sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1», perché istituite in attuazione della normativa previgente, ancorché con atto emanato dopo l’entrata in vigore della nuova (pure questo punto della sentenza, ad avviso del Collegio, sarebbe discutibile, ma gli appellanti non lo contestano, e perciò può essere tenuto per fermo).

5.3. Quanto asserito dal T.A.R. circa il significato della parola “vacante” nella lingua italiana non può essere condiviso.

E’ vero che per lo più i dizionari di uso corrente e scolastico dicono che “vacante” è il posto che si è reso libero per effetto del venir meno di chi ne era titolare, tacendo di quelli che sono liberi sin dall’origine, non essendo stati mai coperti. Ma è chiaro che le espressioni di siffatti dizionari hanno una funzione esplicativa ed esemplificativa e suggeriscono il significato di più immediata comprensione per il lettore; non hanno invece la pretesa di dare “definizioni” ad excludendum con esattezza scientifica o tecnico-giuridica.

D’altra parte, dato e non concesso che si possa astrattamente distinguere fra le sedi “vacanti” siccome abbandonate dal titolare, e quelle mai coperte sin dalla loro origine, non si comprende quali ragioni vi siano per differenziare le une dalle altre quanto al regime giuridico, né quale interesse pratico o quale rilevanza concettuale possa avere tale distinzione. Di questi interrogativi la sentenza appellata non si occupa.

5.4. In realtà, nel linguaggio giuridico comune l’espressione “posto vacante” ha, pacificamente e da sempre, il significato più esteso sostenuto dai ricorrenti e non quello più restrittivo affermato dal T.A.R.. Nella materia del pubblico impiego vi è una sterminata casistica dell’uso ampio ed inclusivo della locuzione “posto vacante”, sia nei testi normativi, sia nelle massime di giurisprudenza.

Così, quando la legge n. 207/1985 ha concesso l’inquadramento in ruolo “in sanatoria” al personale degli enti sanitari che avesse svolto di fatto le mansioni, subordinando il beneficio alla preesistenza del relativo “posto vacante in organico”, è sempre stato pacificamente inteso che con ciò la norma si riferisse anche ai posti mai coperti (anzi, di fatto questa era l’ipotesi di più frequente applicazione) e non è mai stata affacciata l’ipotesi che la si dovesse intendere diversamente.

La controprova è che non esiste un termine tecnico appropriato per indicare quei posti che, pur essendo privi di titolare, stando alla tesi del T.A.R. non si potrebbero denominare “vacanti”, e che ovviamente non sono neppure “non vacanti”.

5.5. Etimologicamente, il termine “vacante” deriva com’è noto dal verbo “vacare”, disusato in italiano, ma che in latino significa essere vuoto (vacuus), e per estensione essere libero (vacare vitio, essere esente da vizio), senza distinguere se tale stato di fatto duri sin dall’origine ovvero dipenda da vicende sopravvenute. Anche nel codice di diritto canonico, quando si parla di officium vacans il contesto rende palese che ci si riferisce indifferentemente ad entrambe le ipotesi (canoni 153, 155).

Anche per questa via si smentisce la tesi lessicale affermata dal T.A.R..

5.6. Tornando al testo letterale dell’art. 11 del decreto legge n. 1/2012, poi, è ulteriormente significativo che il legislatore abbia abbinato alla parola “vacante” (già di per sé insuscettibile dell’interpretazione limitativa accolta dal T.A.R.) l’avverbio “comunque”. Esso, pur essendo sostanzialmente superfluo, tuttavia palesa l’intenzione di sottolineare ancora l’ampiezza del termine usato e di eliminare ogni possibilità di equivoco. Invero in quel contesto “comunque” sta per: “quale che sia la causa per cui la sede è priva di titolare”.

5.7. L’intenzione così palesata dal legislatore mediante un uso non equivoco delle parole è coerente con lo scopo perseguito dall’intero decreto legge.

Esso contiene, com’è noto, disposizioni relative a materie assai disparate, ma tutte accomunate dall’intento politico enunciato dall’intitolazione del decreto legge: «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività».

Si comprende che l’aumento del numero delle farmacie e una sia pur minima apertura verso una certa liberalizzazione del settore rispondono, nella mente del legislatore, non solo e non tanto allo scopo di migliorare il servizio reso all’utenza, quanto a quello di offrire nuove possibilità all’iniziativa imprenditoriale e alla concorrenza. Da questo punto di vista si spiega dunque che il legislatore abbia temporaneamente interdetto la facoltà dei Comuni di assumere la gestione di un certo numero di farmacie, sottraendole all’iniziativa privata. Dunque la disposizione: «sulle sedi farmaceutiche istituite in attuazione del comma 1 o comunque vacanti non può essere esercitato il diritto di prelazione da parte del comune», non può essere oggetto di capziose forzature interpretative che contraddirebbero tanto il senso proprio delle parole usate, quanto lo scopo palese dell’intero intervento normativo.

6. In sede di discussione orale le difese delle parti appellate hanno prospettato una diversa linea argomentativa, che senza smentire tutto quanto detto sinora riguardo al senso della parola “vacante”, tenderebbe a dimostrare per altra via l’infondatezza del ricorso degli interessati.

Si tratta della tesi secondo cui le nuove sedi istituite con la delibera n. 55 del 12 aprile 2012 erano state già “opzionate” dai rispettivi Comuni durante la lunga gestazione di quel provvedimento, e dunque prima dell’emanazione del decreto legge; ne conseguirebbe che il sopravvenuto divieto non inciderebbe su tali diritti acquisiti.

Il Collegio osserva che, anche a tacer d’altro, la tesi è manifestamente infondata, perché se è pur vero che i Comuni interessati avevano già espresso quella intenzione, è anche vero che solo con l’approvazione della delibera n. 55 (intervenuta quando erano già in vigore tanto il decreto legge quanto la legge di conversione) si è reso possibile l’esercizio della facoltà di prelazione, o meglio si sarebbe reso possibile se la norma legislativa intervenuta nel frattempo non l’avesse escluso. Non si può dunque parlare di posizioni acquisite.

7. Per completezza, il Collegio si vuole dar carico di un’altra possibile obiezione formulabile contro le tesi degli appellanti.

Si potrebbe invero prospettare la tesi che, proprio perché le sedi farmaceutiche in contestazione sono state istituite con la delibera del 12 aprile 2012, esse non erano né esistenti né tanto meno “vacanti” alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 27/2012 (25 marzo); dunque non ricadrebbero sotto il divieto stabilito in deroga e una tantum dall’intervento legislativo, e resterebbero suscettibili della prelazione comunale.

Neppure questa tesi, peraltro, può essere condivisa, perché come si è detto sopra il divieto della prelazione comunale è posto in stretta correlazione con la indizione del concorso straordinario, il quale deve avere per oggetto tanto le farmacie di nuova istituzione quanto tutte quelle genericamente “vacanti”. La data di riferimento per individuare quali sedi siano “vacanti” (e come tali da mettere a concorso), e quali no, può dunque essere logicamente solo quella della indizione effettiva del concorso straordinario; oppure, a tutto concedere, quella della scadenza del termine (ordinatorio e non perentorio) entro il quale il concorso doveva essere bandito, se anteriore alla data della effettiva indizione. La delibera impugnata (12 aprile 2012) è notevolmente anteriore ad entrambe quelle possibili date di riferimento.

8. In conclusione, è certo che la delibera impugnata in primo grado, n. 55 del 12 aprile 2012, è viziata nella parte in cui offre in prelazione ai rispettivi Comuni quelle nuove sedi farmaceutiche, in un momento nel quale la prelazione era tassativamente esclusa dalla legge testé entrata in vigore.

L’appello deve essere accolto, e in riforma delle sentenza appellata deve essere accolto il ricorso di primo grado, annullandosi in parte qua la delibera impugnata.

La novità e la singolarità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese per i due gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definendo immediatamente la controversia, accoglie l’appello nel senso e con gli effetti di cui in motivazione. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2013 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore

Roberto Capuzzi, Consigliere

Hadrian Simonetti, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/06/2013

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