Moschea in un seminterrato

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1121 del 2012, proposto da:

Associazione Dialogo e Convivenza, rappresentato e difeso dagli avv. Filippo Collia, Giuseppe Zonca, con domicilio eletto presso Filippo Collia in Brescia, p.za Vittoria, 11 (Fax=030/3755748);

contro

Comune di Cologne, rappresentato e difeso dagli avv. Fiorenzo Bertuzzi, Silvano Venturi, Gianpaolo Sina, con domicilio eletto presso Fiorenzo Bertuzzi in Brescia, via Diaz, 9;

per l’annullamento, previa sospensione,

del provvedimento 24 settembre 2012 prot. n°3329 e n°54/2012 del registro ordinanze, notificato il 1 ottobre 2012, con il quale il Responsabile dell’area tecnica del Comune di Cologne ha ingiunto all’Associazione Dialogo e Convivenza il divieto di effettuare attività di culto (preghiera del venerdì) presso il locale seminterrato del condominio Edera, sito in Cologne alla via Antonelli 38, censito al catasto al foglio 14 mappale 1 subalterni 99 e 100, a decorrere dalla data di notifica;

di ogni atto presupposto, conseguente e comunque connesso;

nonché per la condanna

dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Cologne;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2013 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

L’Associazione Dialogo e Convivenza, odierna ricorrente, è una associazione culturale costituita fra cittadini marocchini di fede islamica, la quale è proprietaria dell’immobile meglio indicato in epigrafe, un seminterrato di circa 700 mq sito in Cologne, al n°38 della via Antonelli (v. in particolare la memoria finale dell’associazione 20 aprile 2013 p.1; si tratta di fatti non contestati in causa) in origine con destinazione d’uso ad uffici; per adibirlo a propria sede, ha quindi richiesto il rilascio del permesso di costruire necessario a variarne in tal senso la destinazione suddetta, e lo ha ottenuto all’esito di un contenzioso definito con la sentenza di questo Tribunale, sezione I, 22 settembre 2011 n°1320 (doc. 3 Comune, copia di essa).

In particolare, l’Associazione ha, in dichiarata ottemperanza a tale sentenza, ottenuto il rilascio di un primo permesso di costruire, 20 ottobre 2011 prot. n°15548, “condizionatamente all’esito dell’appello proposto avverso alla [testuale] sentenza del TAR di Brescia n°1320/2011 del 22 settembre 2011, con espresso divieto, ai sensi della sentenza del TAR di Brescia n°1320/2011 del 22 settembre 2011, di destinare i locali a luogo di culto ovvero a qualsivoglia attività cultuale, con espressa limitazione al numero massimo di accesso di n°162 persone come da ordinanza n°40 del 10 agosto 2008 n°12130″ (doc. 3 ricorrente, copia provvedimento in questione, da cui la citazione); a fronte di ciò, ha fatto rilevare, con lettera 28 ottobre 2011, di ritenere illegittime tali prescrizioni (doc. 4 ricorrente, copia lettera) ed ha infine ottenuto il provvedimento di rettifica 22 novembre 2011 prot. n°17275, che il permesso di costruire rilascia senza alcuna delle condizioni citate (doc. 5 ricorrente, copia provvedimento).

Successivamente, nondimeno, l’Associazione, all’esito di un sopralluogo ivi disposto in data 6 aprile 2012 (doc. 6 ricorrente, copia avviso di avvio del procedimento, ove se ne fa menzione), ha ricevuto l’ordinanza di cui meglio in epigrafe, che testualmente le fa “divieto di effettuare attività di culto (preghiera del venerdì)” presso l’immobile in questione (doc. 1 ricorrente, copia ordinanza).

Avverso tale ordinanza, l’Associazione insorge quindi nella presente sede, con ricorso articolato in tre censure, riconducibili in ordine logico ai seguenti due motivi:

– con il primo di essi, corrispondente alle censure prima e terza alle pp. 4 e 7 dell’atto, deduce eccesso di potere per falso presupposto, in quanto presso l’immobile in questione non sarebbe avvenuta alcuna attività sanzionabile, dato che i membri dell’associazione si limitano, in modo compatibile con la destinazione urbanistica di esso, a svolgervi la preghiera caratteristica della loro religione, senza averlo per ciò trasformato in moschea, ovvero in luogo di pubblico culto;

– con il secondo motivo, deduce violazione dell’art.31 del T.U. 6 giugno 2001 n°380, nel senso che, dato e non concesso che l’immobile in parola sia effettivamente stato trasformato in luogo di culto, la sanzione per ciò prevista non si identificherebbe con il divieto di pregare di cui al provvedimento.

Nello stesso ricorso introduttivo, l’Associazione propone altresì domanda di risarcimento del danno non patrimoniale che il provvedimento in questione le avrebbe arrecato, in quanto emesso con “intenti vessatori… connotati da pregiudizio razziale e religioso” (p. 9 ricorso secondo rigo) e lesivo di un diritto costituzionalmente garantito.

Con memoria 20 aprile 2013, l’Associazione ha ribadito le proprie asserite ragioni.

Resiste il Comune, con memorie 27 ottobre 2012 e 30 aprile 2013, in cui chiede che il ricorso sia respinto nel merito, sostenendo che il locale per cui è causa sarebbe in realtà una moschea vera e propria, e come tale dovrebbe necessariamente essere assentita da uno specifico permesso di costruire, nella specie mancante.

La Sezione ha accolto la domanda cautelare con ordinanza 31 ottobre 2012 n°483, confermata in appello da C.d.S. sez. VI 14 gennaio 2013 n°76, e alla udienza del 22 maggio 2013 ha da ultimo trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è fondato tanto nella domanda di annullamento quanto nella domanda risarcitoria, nei termini di cui appresso.

2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno trattati congiuntamente, in quanto connessi, e sono fondati, per le ragioni già esposte in sede di ordinanza cautelare. Il provvedimento impugnato, come risulta dal dispositivo di esso riportato testualmente in epigrafe (doc. 1 ricorrente, cit. terzultimo periodo), vieta puramente e semplicemente di svolgere nel locale ivi indicato la “attività di culto” specificata come “preghiera del venerdì”, senza far ciò dipendere da una particolare modalità con la quale essa venga eventualmente esplicata in rapporto alle caratteristiche urbanistiche edilizie dell’immobile in cui essa si svolge, pacificamente di proprietà della ricorrente.

3. Ciò posto, va ribadito il rilievo valorizzato per cui nel nostro ordinamento, ai sensi del noto art. 19 della Costituzione, nessun soggetto può ordinare ad altro, in sintesi estrema, di non pregare a casa propria. Identico precetto, va aggiunto per completezza, si desume dall’ordinamento europeo, cui ai sensi degli artt. 11 e 117 Cost. il nostro si conforma: in primo luogo, la libertà di religione e di culto è riconosciuta anche dall’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, esecutiva in Italia per la l. 4 agosto 1955 n°848; in secondo luogo, la libertà di religione è riconosciuta anche dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, o Carta di Nizza, 7 dicembre 2000, che come è noto ha ora il medesimo valore giuridico dei Trattati europei, ai sensi dell’art. 6 del Trattato di Lisbona 13 dicembre 2007.

4. In tal senso, la difesa del Comune intimato ha continuato a fondarsi su un presupposto diverso, che però all’evidenza non può ricavarsi a fronte di un dispositivo del provvedimento che dice altro. Il Comune deduce infatti che il locale per cui è causa, legittimamente adibito a sede dell’associazione ricorrente, sarebbe in fatto adibito ad altro uso, a sede dedicata di culto islamico ovvero a moschea, uso per il quale, a differenza che per la sede di una associazione, è richiesto il permesso di costruire ai sensi dell’art. 52 comma 3 ter della l.r. Lombardia 12/2005, nella specie mancante.

5. In tal senso, deve allora osservarsi che il Comune è senz’altro titolare dell’astratto potere di sanzionare l’uso di un locale difforme dalla destinazione, ma che nel caso di specie l’uso difforme non può essere identificato con il mero fatto che nel locale si svolga la preghiera, del venerdì o di altra ricorrenza. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza già richiamata e che qui si riproduce –in tal senso C.d.S., sez. IV, 28 gennaio 2011, n°683- e dalla prassi, che pure si torna a citare – in tal senso il parere al Ministero dell’Interno espresso il 27 gennaio 2011 dal Comitato per l’Islam italiano- per ravvisare la presenza di una moschea in senso rilevante per le norme edilizie e urbanistiche sono necessari due requisiti, l’uno intrinseco, dato dalla presenza di determinati arredi e paramenti sacri, l’altro estrinseco, dato dal dover accogliere “tutti coloro che vogliano pacificamente accostarsi alle pratiche cultuali o alle attività in essi svolte” e “consentire la pratica del culto a tutti i fedeli di religione islamica, uomini e donne, di qualsiasi scuola giuridica, derivazione sunnita o sciita, o nazionalità essi siano”(così il parere stesso).

6. Allo stesso modo, si ribadisce, una chiesa consacrata nei termini della religione cattolica, e anche di altri culti, può esistere anche all’interno di una proprietà privata -come nel caso delle cappelle gentilizie, di conventi o di istituti, dove è ben possibile dir regolarmente Messa- ma non assume rilievo urbanistico edilizio sin quando non permetta il libero accesso dei fedeli. Pertanto, l’uso incompatibile potrebbe verificarsi nel caso in cui l’accesso per la libera attività di preghiera fosse non riservato ai membri dell’associazione, ma indiscriminato, perché è in quest’ultimo caso che si verifica l’aumento di carico urbanistico da valutare in sede di rilascio del permesso di costruire, fermo che ciò dovrebbe essere in concreto accertato dall’autorità, attraverso una corretta e completa istruttoria.

7. Va quindi accolta la domanda di annullamento del provvedimento 24 settembre 2012 prot. n°3329 per cui è causa, e rimane da scrutinare se vada accolta la contestuale domanda risarcitoria, che è espressamente qualificata (ricorso, p. 9 settimo rigo dal basso) come relativa a un danno non patrimoniale da liquidare secondo equità.

8. In proposito, va allora premesso che la domanda è in astratto ammissibile, in quanto nel nostro ordinamento, a partire dalle note sentenze Cass. civ. sez. III 31 luglio 2003 nn° 8827 e 8828 nonché Cass. S.U. 11 novembre 2008 n°26972, è riconosciuta la possibilità di risarcire ai sensi dell’art. 2059 c.c. il danno non patrimoniale che colpisca interessi della persona collegati a diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione, quale è la libertà di religione, né si dubita, per giurisprudenza costante che non richiede come tale citazioni, che esso possa spettare anche ad enti giuridici.

9. Nel caso di specie, poi, la domanda è fondata nel merito. Del danno risarcibile sussiste anzitutto l’elemento oggettivo, ovvero l’ingiusta lesione all’interesse di cui si è detto, da ritenersi in quanto operata con il provvedimento illegittimo qui annullato. Sussiste poi l’elemento soggettivo, poiché il rispetto della libertà di religione è patrimonio culturale di qualunque persona media, sì che non si può ipotizzare, in mancanza di circostanze particolari per vero nemmeno allegate, che la lesione qui operata sia frutto di ignoranza scusabile.

10. In proposito va valutato anche il complessivo atteggiamento dell’amministrazione, che come riportato in narrativa ha dapprima condizionato in modo illegittimo (doc. ti 3-5 ricorrente, cit.) il rilascio del permesso di costruire concernente la sede dell’associazione, poi ha adottato l’ordinanza qui impugnata a seguito di interventi diretti e puntuali sul caso concreto del Sindaco nei confronti del Dirigente competente (doc. ti ricorrente 9-11, copie carteggio in merito), interventi nella prassi quantomeno inusuali, oltre che non rispettosi del riparto delle competenze previsto dalla legge. Da tutto ciò, ragionevolmente, si desume un certo accanimento, appunto non compatibile con la buona fede ispirata da ignoranza scusabile.

11. Il danno cagionato va liquidato in termini equitativi, nella somma simbolica di mille euro di cui al dispositivo, maggiorata degli accessori di legge.

12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

a) accoglie la domanda di annullamento e per l’effetto annulla il provvedimento 24 settembre 2012 prot. n°3329 e n°54/2012 del registro ordinanze del Responsabile dell’area tecnica del Comune di Cologne;

b) accoglie la domanda risarcitoria e per l’effetto condanna il Comune di Cologne a corrispondere alla Associazione Dialogo e Convivenza a titolo di ristoro del danno non patrimoniale la somma di € 1.000 (mille/00), oltre interessi e rivalutazione dalla data della presente sentenza al saldo;

c) condanna il Comune di Cologne a rifondere alla Associazione Dialogo e Convivenza le spese del presente giudizio, spese che liquida in € 3.000 (tremila/00) oltre quanto già liquidato per la fase cautelare, oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente

Mario Mosconi, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 29/05/2013.

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