Difficile trasformare la partecipata in fondazione

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REPUBBLICA ITALIANA

LA

CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER IL VENETO

          nell’adunanza del 13 maggio 2013 composta da

Dott. Claudio IAFOLLA                   Presidente

Dott.ssa Diana CALACIURA TRAINA    Consigliere

Dott. Francesco MAFFEI                 Referendario relatore

Dott.ssa Francesca DIMITA             Referendario

VISTO l’art. 100, secondo comma, della Costituzione;

VISTO il Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

VISTA la Legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;

VISTO il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria la Sezione regionale di controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000, modificato da ultimo con deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229 del 19 giugno 2008;

VISTA la Legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3”, ed in particolare, l’art. 7, comma 8°;

VISTI gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva approvati dalla Sezione delle Autonomie nell’adunanza del 27 aprile 2004, come modificati e integrati dalla delibera n.9/SEZAUT/2009/INPR del 3 luglio 2009 e, da ultimo dalla deliberazione delle Sezioni Riunite in sede di controllo n. 54 del  17 novembre 2010;

VISTA la richiesta di parere del Sindaco di Ficarolo (RO) del 14 febbraio 2013, acquisita al prot. CdC n. 1035 del 15 febbraio 2013;

VISTA la documentazione trasmessa dal Sindaco, in data 8 marzo 2013 ed acquisita al prot. CdC n. 1642 del 14 marzo 2013, ad integrazione della suindicata richiesta di parere;

VISTA l’ordinanza n. 54 del 2013 con la quale il Presidente di questa Sezione di controllo ha convocato la Sezione per l’odierna seduta;

UDITO il magistrato relatore, Dott. Francesco Maffei;

FATTO

Il Sindaco del Comune di Ficarolo, con la nota indicata in epigrafe, ha posto un triplice quesito in ordine alla interpretazione dell’art. 9, comma 6, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dell’art. 113, comma 5 bis e dell’art. 114 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, con riferimento alla trasformazione, ex art. 2500 septies c.c., di una società a responsabilità limitata – interamente controllata dall’ente locale e che svolge l’attività di gestione di una casa di riposo per anziani – in fondazione con finalità di solidarietà sociale, nei settori dell’assistenza sociale e sanitaria degli anziani, con il conferimento di un immobile di proprietà dell’ente nel patrimonio della fondazione.

In particolare, il Sindaco chiede innanzitutto di chiarire la portata del divieto, di cui al citato art. 9, coma 6, del d.l. 95/2012, di istituire, da parte degli enti locali, “organismi comunque denominati e di qualunque natura giuridica”. A questo proposito, il rappresentante dell’ente fa presente che, ai sensi dell’art. 2500 septies c.c., la trasformazione c.d. “eterogenea” da società di capitali, non ha come conseguenza un effetto estintivo della società, ma novativo-modificativo. Il Sindaco chiede, pertanto, se la mera trasformazione di una società a responsabilità limitata in fondazione ex art. 2500 septies c.c, debba far ritenere non operante il divieto di cui all’art. 9, comma 6.

In secondo luogo, viene altresì richiesto se una fondazione, istituita da un Comune, debba ritenersi esclusa dai vincoli derivanti da rispetto del patto di stabilità interno, per effetto della disposizione di cui all’art. 114, comma 5 bis, ultimo capoverso, del TUEL, in considerazione della finalità di solidarietà sociale che deriva dalla gestione dei servizi nei settori dell’assistenza sociale e sanitaria degli anziani, anche in considerazione della scelta di organizzare il servizio con modalità tali da farlo ritenere privo di rilevanza economica.

Infine, il Sindaco chiede se l’art. 113 bis TUEL, che riconosce all’ente locale la possibilità di costituire associazione e fondazioni senza scopo di lucro, implicitamente consenta anche di dotare la fondazione di un patrimonio permettendo, in questo modo, all’ente di conferire l’immobile, nel quale far esercitare l’attività assistenziale, alla neo costituita fondazione.

DIRITTO

La richiesta del Comune di Ficarolo è stata espressamente formulata ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003,n. 131.

In via preliminare, va affermata la sussistenza dei requisiti di ammissibilità, soggettivi ed oggettivi, per la formulazione dei pareri, secondo i criteri fissati dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, con atto di indirizzo del 27 aprile 2004 e con deliberazione n. 5/AUT/2006 del 10 marzo 2006.

Alla luce dei sopra richiamati criteri, la richiesta di parere in esame deve ritenersi soggettivamente ammissibile, con riguardo sia all’ente interessato a ricever il parere, cioè il Comune, sia all’organo che formalmente lo ha richiesto, il Sindaco, organo politico di vertice e rappresentante legale dell’Ente.

In ordine poi alla sussistenza dei requisiti oggettivi, occorre preliminarmente accertare se la richiesta di parere sia riconducibile alla materia della contabilità pubblica, nonché se sussistano o meno i requisiti di generalità ed astrattezza, unitamente alla considerazione che il quesito non può implicare valutazioni inerenti i comportamenti amministrativi da porre in essere, ancor più se connessi ad atti già adottati o comportamenti espletati.

Con riferimento al caso in questione, la Sezione ritiene sia riconducibile al concetto unitario di contabilità pubblica, delineato dalla richiamata delibera n. 54/2010 della Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei conti, che viene riferito al “sistema di principi e norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale della Stato e degli Enti pubblici” ed inteso “in continua evoluzione in relazione alle materie che incidono direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’ente e sui pertinenti equilibri di bilancio”.

Il quesito concerne, infatti, l’interpretazione e l’applicazione di norme che pongono precisi obiettivi di finanza pubblica, in relazione alla razionalizzazione e revisione della spesa pubblica, la cui applicazione ha immediati riflessi sulla attività finanziaria e patrimoniale dell’ente in questione.

In ordine alla sussistenza degli altri requisiti di ammissibilità oggettiva, la Sezione ritiene che la richiesta di parere in esame presenti il carattere della generalità ed astrattezza, nei limiti in cui potranno essere indicati principi utilizzabili anche da parte di altri enti, qualora insorgesse la medesima questione interpretativa, nell’ambito di valutazioni che restano comunque rimesse alla esclusiva discrezionalità e competenza degli organi comunali preposti. La funzione consultiva della Corte dei conti, infatti, non può in alcun modo interferire, fornendo autorizzazioni preventive o conferme successive di scelte già valutate ed effettuate dall’ente richiedente.

Pertanto, la richiesta di parere può ritenersi ammissibile e può essere esaminata nel merito.

Per quanto concerne il quesito relativo alla portata del divieto di cui all’art. 9, comma 6, del d.l. 95/2012, la Sezione fa presente che, sul punto, si è già pronunciata con la recente deliberazione n. 75/2013/PAR, al cui contenuto si rinvia.

In tale pronuncia, infatti, è stato chiarito che il divieto, previsto nell’ambito di una politica generale di revisione delle spesa pubblica, di “istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118, della Costituzione” costituisca un divieto di portata generale ed omnicomprensiva, secondo una linea interpretativa supportata da una costante giurisprudenza delle altre Sezioni regionali di controllo. Pertanto, nella portata di tale divieto, vanno ricompresi anche gli organismi strumentali dell’ente locale (siano essi aziende speciali, fondazioni o istituzioni) che siano istituiti ex novo, anche se deputati a svolgere funzioni sociali-assistenziali.

Con riferimento, invece, alla possibilità di ricomprendere nel citato divieto di “istituire” nuovi organismi, comunque denominati e di qualunque natura giuridica, anche le ipotesi di trasformazioni c.d. “eterogenee” di società di capitali in aziende o fondazioni, di cui all’art. 2500 septies c.c., vanno fatte alcune precisazioni.

La Sezione ricorda, infatti, che ricorre l’ipotesi di “trasformazione” di una società ogniqualvolta che la stessa, durante la sua vita, assuma un tipo di organizzazione sociale diverso da quello originario, stabilito nell’atto di costituzione.

L’istituto della trasformazione delle società è improntato al principio di continuità dei rapporti giuridici e processuali (art. 2498 c.c.) nel senso che, con la trasformazione, l’ente trasformato “conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali, dell’ente che ha effettuato la trasformazione”. In pratica, si verificherebbe una trasformazione dell’atto costitutivo che, però, non comporterebbe la “creazione” di un nuovo soggetto di diritto, né la “successione” di un ente all’altro, bensì la continuazione della vecchia società in una rinnovata veste giuridica. La finalità di tale disciplina sarebbe, infatti, quella di garantire la possibilità di utilizzare un unico procedimento che determini la conservazione, in testa all’ente risultante, dei diritti e degli obblighi dell’ente trasformato, pur in presenza di rilevanti modifiche di struttura e di scopo

In questo senso, si può affermare che la società trasformata non si estingue per rinascere sotto altra forma, né dà luogo ad un nuovo centro di imputazione di rapporti giuridici ma “sopravvive alla vicenda modificativa, senza soluzione di continuità”.

Originariamente, questo istituto era inteso solo come “mutamento del tipo legale di società” (c.d. “trasformazione omogenea” riferibile solo agli enti societari che potevano trasformarsi da società commerciali di persone a società di capitali e viceversa- o da un tipo di società ad un’altra, nell’ambito della medesima categoria); successivamente, con la riforma del diritto societario, è stata prevista la possibilità di procedere anche ad una trasformazione c.d. “eterogenea” da società di capitali, in consorzi, società consortili, cooperative, comunioni di aziende, associazioni non riconosciute e fondazioni (e viceversa, ad eccezione delle sole associazioni non riconosciute che non possono trasformarsi in società di capitali).

Posta in questi termini la questione, sembrerebbe che l’ipotesi di trasformazione di una società a responsabilità limita in fondazione si collochi al di fuori del divieto di cui all’art. 9, comma 6, del dl 95/2012, se si intende il divieto di “istituzione”, ivi contemplato, come divieto si creare “ex novo” degli “organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 118 Cost.”.

Tuttavia, a questo riguardo, la Sezione ritiene di effettuare una serie di precisazioni.

Innanzitutto, ci sarebbe da considerare la finalità della norma in discussione la cui ratio consiste nell’evitare, da parte degli enti locali, l’ulteriore incremento di organismi strumentali in mano pubblica. Il divieto di cui al comma 6, infatti, è collocato nell’ambito di una disposizione, l’art. 9, volta alla “razionalizzazione amministrativa, divieto di istituzione e soppressione di enti, agenzie e organismi” che, al comma 1, impone a regioni, province e comuni di sopprimere o accorpare (o, in ogni caso, assicurare la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20 per cento) enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data di entrata in vigore del decreto, esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione o funzioni amministrative ed essi spettanti ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione.

L’intenzione del legislatore, pertanto, sarebbe proprio quella di ridurre la presenza di enti e di organismi, comunque denominati, facenti capo agli enti locali (vedi in questo senso anche gli obblighi di razionalizzazione della partecipazioni in società strumentali di cui all’art. 4 del medesimo provvedimento).

Per questo motivo, seguendo un’impostazione non formale ma sostanziale dell’intera vicenda prospettata, occorrerebbe evidenziare la concreta funzione dell’operazione in questione, per verificarne l’effettiva conformità alle disposizioni di legge, in quanto, in questo modo, ci potrebbe essere il rischio di realizzare proprio ciò che il legislatore ha voluto vietare.

In secondo luogo, la Sezione richiama quanto previsto dall’art. 35, comma 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002) che istituisce l’obbligo di gestire i servizi pubblici esternalizzati, di cui al comma 1, dell’art. 113 TUE, solo nella forma di società di capitali, obbligando la trasformazione delle aziende speciali ancora esistenti. Tale disposizione, quindi, sembrerebbe precludere la trasformazione eterogenea in aziende speciali delle società di capitali che gestiscono servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Determinate appare, quindi, ai fini della risoluzione della questione, la qualificazione del servizio di gestione di una casa di riposo per anziani, come servizio avente rilevanza economica o meno. A questo riguardo la Sezione evidenzia, come riportato del resto anche dalla documentazione allegata al parere, che la natura economica o non economica di un servizio, va individuata sula base di un approccio empirico, verificando, di volta in volta, le concrete modalità con cui il servizio è organizzato.

Questa Sezione ha già avuto modo di precisare (vedi delibera n. 716/2012/PAR, ma anche Sezione Lombardia, delibera n. 195/2009/PAR) che la rilevanza economica o meno di un determinato servizio sociale va considerata in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed alle modalità concrete della prestazione, tenendo presente che ciò che qualifica come “economico” un determinato servizio non è solo il fine produttivo cui esso è indirizzato, ma anche il metodo attraverso il quale è svolto. In questo senso, è stato più volte precisato che non è l’oggetto dell’attività che, di per sé, determina l’indice o l’assenza della sua economicità, ma la concreta modalità di gestione della stessa (vedi anche Sezione Liguria, deliberazione n. 91/2012).

Questo vuol dire che se, da un lato, organismi come le fondazioni possono ben svolgere, al pari di tutti gli altri enti privati con fini ideali o altruistici, attività di impresa, almeno per quei tratti di attività produttiva condotta con metodo economico; dall’altro, vuol dire anche che i c.d. “servizi sociali”, in quanto connotati da un significativo rilievo sociale, non è detto che, solo per questo ,possano essere qualificati, sempre e comunque, come privi di rilevanza economica. Infatti, può darsi anche il caso che, per le modalità concrete con le quali questi sono svolti, presentino una rilevante componente economica tesa ad assicurare non solo la mera copertura delle spese, ma anche un potenziale profitto d’impresa (vedi Consiglio di Stato, Sez. V, 30 agosto 2006,n. 5072). La stessa giurisprudenza amministrativa conferma che la natura “non economica” di un servizio non può essere ricollegata alla “spiccata caratterizzazione sociale” dello stesso, e che non può essere rimessa a criteri di natura astratta, sostanzialistica e/o ontologica, ma occorre fare riferimento a valutazioni caso per caso, rimesse alle “modalità concrete di erogazione ed al regime giuridico, la cui scelta dipende, in definitiva, più da valutazioni politiche che dai caratteri intrinseci dei servizi” (Consiglio di Stato, Sez. V, 10 settembre 2010, n. 6529).

Proprio con specifico riferimento alla qualificazione dei servizi socio-assistenziali dedicati agli anziani, ospiti di una casa di riposo gestita da una Fondazione, costituita da un ente locale, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la non rilevanza economica dell’attività resa, qualora però risulti organizzata con alcune caratteristiche concrete come, ad esempio, l’impegno da parte del Comune per la fruizione del servizio da parte delle fasce economicamente più deboli; oppure la specificazione nello statuto della fondazione della indicazione dei compiti socio-assistenziali, nei casi di marginalità e di bisogno e delle regole di funzionamento e di finanziamento, soprattutto con riferimento ai contributi ordinari e straordinari versati dal comune e dagli altri eventuali sostenitori (pubblici e privati), così come anche alle sovvenzioni, alle erogazioni, donazioni e lasciti (vedi TAR Puglia, Bari, 5 gennaio 2012, n. 24).

In questo senso, la Sezione ritiene che il servizio socio-assistenziale di gestione di una casa di riposo possa essere gestito da una fondazione, costituita a seguito di trasformazione eterogenea di una società di capitali, partecipata dal comune (nella fattispecie una società a responsabilità limitata), a condizione che il servizio, per le modalità in cui è concretamente erogato, esemplificativamente illustrate in precedenza, possa definirsi come privo di rilevanza economica.

Inoltre, c’è da segnalare che in caso di una trasformazione eterogenea come sopra ipotizzata, l’ente locale debba preoccuparsi di garantire comunque, nella maniera più adeguata possibile, la gestione e la governance delle attività che costituiscono l’oggetto dell’azione della società a responsabilità limitata trasformata. Ciò viene evidenziato anche in considerazione della struttura non associativa della fondazione. Per questo motivo, è opportuno che all’ente locale, socio unico della società trasformanda, sia assicurata una carica all’interno del consiglio direttivo dell’ente o in altro organo previsto dall’atto di fondazione.

Un altro aspetto problematico da tenere in debito conto, relativamente al procedimento di  trasformazione in fondazione è rappresentato dalla circostanza che il patrimonio di questa risulta quale “asset” intangibile e fisso, attesa la finalizzazione dello stesso alla realizzazione (tendenzialmente perpetua) dello scopo pubblico attribuito alla fondazione medesima. Saranno, pertanto, rimesse alla valutazione dell’ente le possibilità di trovare delle soluzioni, anche a livello statutario, per tutelare il suo patrimonio, prevedendo, ad esempio, che il patrimonio conferito dal fondatore possa rientrare nella disponibilità dello stesso, al momento della liquidazione della fondazione.

Con riferimento, invece, al quesito relativo al regime giuridico speciale, previsto dall’ultimo periodo del comma 5 bis, dell’art. 114 TUEL, la Sezione fa presente che tale regime derogatorio è previsto solo per le aziende speciali e le istituzioni, come tipici enti ed organismi strumentali dell’ente locale; laddove, la fondazione, invece, è un ente di diritto privato al di fuori dell’ambito applicativo di tale norma.

In ordine, poi, al terzo quesito sulla possibilità che l’art. 113 bis TUEL, implicitamente consenta di dotare la fondazione di un patrimonio, permettendo all’ente di conferire l’immobile dove far esercitare alla neo costituita fondazione la propria attività socio-assistenziale, la Sezione fa innanzitutto presente che le disposizioni di cui all’art. 113 bis sono state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012. A seguito di questa declaratoria di incostituzionalità, si è riprodotta la situazione esistente successivamente all’abrogazione dell’art. 23 bis, ad opera del referendum popolare, situazione che non determina la reviviscenza della normativa nazionale sostituita da tale ultimo articolo, ma l’applicazione della normativa comunitaria.

Con riferimento, infine, alla possibilità di dotare la costituenda fondazione di un patrimonio, permettendo all’ente di conferire un immobile deputato all’esercizio dell’attività socio-assistenziale, la Sezione fa presente che la gestione del patrimonio immobiliare rientra nell’ambito della concreta attività gestionale ed amministrativa degli enti richiedenti, rispetto alla quale è preclusa qualsiasi possibilità di intervento da parte delle Sezione regionali di controllo, nell’esercizio della funzione consultiva assegnatale.

Per questo motivo, la Sezione si limita a ricordare che tale gestione deve avvenire nel rispetto delle norme che disciplinano, in primo luogo, il regime giuridico del singolo bene immobile dell’ente locale.

Inoltre, si dovrà anche garantire il rispetto di quei criteri di massima valorizzazione funzionale previsti dal legislatore; come richiesto, del resto, dalle varie forme di gestione del patrimonio, introdotte di recente dal legislatore, sono infatti tutte finalizzate alla valorizzazione economica delle dotazioni immobiliari dei vari enti territoriali, di volta in volta coinvolti (D. lgs. 85/2010; art. 58 del d.l. 122/2008, convertito dalla legge 133/2008, art. 33 d.l. 98/2011, conv. dalla legge 111/2011, come modificato dal d.l. 95/2012).

Per questo motivo, la Sezione, come già chiarito con la citata delibera n. 716/2012, ribadisce che l’ente, ai fini della possibilità di concedere la disponibilità di un bene appartenente al suo patrimonio, in considerazione delle peculiari finalità socio-assistenziali perseguite dal soggetto beneficiario, dovrà procedere, nell’ambito delle valutazioni da effettuare nell’esercizio della sua esclusiva discrezionalità, ad un bilanciamento degli interessi in gioco, tenendo presente che il principio generale di redditività del bene pubblico può essere mitigato o escluso ove venga perseguito un interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello che viene perseguito mediante lo sfruttamento economico dei beni.

In questo caso la mancata redditività del bene è comunque compensata dalla valorizzazione di un altro bene ugualmente rilevante, che trova il suo riconoscimento e fondamento in valori costituzionali, e che comunque deve essere espressamente garantito e tutelato all’atto del concreto conferimento del bene in questione.

La Sezione, pertanto, nel richiamare ad una corretta applicazione delle norme civilistiche che disciplinano l’istituto della trasformazione eterogenea di cui all’art. 2500 septies c.c., precisa che non sono comunque ammissibili interpretazioni del quadro normativo di riferimento che si risolvano in soluzioni elusive dei vincoli di finanza pubblica.

A questo riguardo, si richiama la consolidata giurisprudenza sia di questa Sezione (deliberazioni n. 106/2009/PAR, n. 176/2010/PRSP, n. 228/2010/PAR) sia di altre Sezioni regionali (Lombardia, deliberazioni nn. 531/2011/PAR e 405/2012/PAR; Toscana deliberazione n. 203/2011) sulla evidente potenzialità elusiva di determinate operazioni, di per sé lecite, ma che alla stregua di una valutazione economica e giuridica complessiva, effettuata in concreto e non in astratto, risultano in realtà finalizzate ad aggirare i vincoli di finanza pubblica.

Tali orientamenti sono stati, peraltro, anche ripresi dalle circolari della Ragioneria Generale dello Stato n. 5/2012 e n. 5/2013 dove, tra l’altro, viene precisato che si configura una fattispecie elusiva “ogni qualvolta siano attuati comportamenti che, pur legittimi, risultino intenzionalmente e strumentalmente finalizzati ad aggirare i vincoli di finanza pubblica” e che risulta, pertanto, fondamentale, ai fini della individuazione della fattispecie elusiva, la concreta “finalità economico-amministrativa” che sta alla base del singolo provvedimento adottato.

PQM

La Sezione regionale di controllo per il Veneto rende il parere nei termini sopra indicati.

Copia della presente deliberazione sarà trasmessa, a cura del Direttore della Segreteria, al Sindaco del Comune di Ficarolo.

Così deliberato in Venezia, nella Camera di Consiglio del 13 maggio 2013.

      Il Relatore                                Il Presidente

f.to Dott. Francesco Maffei       f.to Dott. Claudio Iafolla

 

Depositato in Segreteria il 15/05/2013

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