Politica e acquisti, gli sprechi dei comuni

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Il mandato è chiaro: i Comuni devono tagliare 700 milioni quest’anno. Come riuscirci? Per rendersene conto può essere d’aiuto dare uno sguardo all’ultimo rapporto del Servizio politiche territoriali della Uil sui bilanci di previsione 2013 delle grandi città metropolitane. Pressione fiscale e tariffaria alle stelle, debiti alti, spesa corrente in continua crescita nonostante la riduzione dei costi per il personale (escluse le Spa pubbliche controllate dagli enti locali). E costi della politica solo apparentemente ridimensionati: il calo dell’8,9% registrato rispetto al 2012, infatti, è più che altro simbolico. Le 12 metropoli spendono ancora quasi 400 milioni l’anno per fare funzionare giunte e consigli quando gli 8.000 Comuni italiani, nel complesso, arrivano a 1,6 miliardi. E anche tra i big ci sono i più e i meno virtuosi.

I NUMERI
Napoli detiene anche questo primato: 118 milioni di euro per il funzionamento degli organi istituzionali in un Comune che vanta anche il peggior dissesto finanziario, con un disavanzo di 31 milioni e il piano di rientro presentato dall’amministrazione bocciato dalla Corte dei Conti. Se non fosse per la gestione commissariale (che ha acquisito i debiti ante 2008), Roma non sarebbe in una situazione molto migliore. Eppure il Campidoglio assorbe (sempre nel 2013) 94 milioni per assessori e consiglieri. E’ una cifra che rappresenta l’1,7% della spesa corrente del Comune che era salita a 5,1 miliardi nel 2012 e a 5,6 miliardi nel 2013. Ogni romano, anche neonato, spende così 36 euro per lo stipendio di assessori e consiglieri contro 28 a Milano, 22 a Bologna e 18 a Cagliari, la più virtuosa d’Italia. Il costo degli amministratori è inversamente proporzionale alla salute delle casse comunali: ogni napoletano spende infatti 123 euro. Venezia segue a ruota con 77 euro, Torino è terza con 48 euro.

CORRE LA SPESA
Le entrate delle 12 metropoli, e di conseguenza la loro possibilità di spesa, raggiungono 27,5 miliardi e rappresentano oltre un terzo (il 37%) delle entrate dei Comuni nel loro complesso. Circa la metà di questa somma se ne va in spesa corrente (55,8%): vuol dire che ogni anno si spendono mediamente 15 miliardi per l’acquisto di beni e servizi. E’ chiaro che qui si concentrano le maggiori possibilità di risparmio. Lo dimostra, concretamente, la Consip: nel 2012 su 17,8 miliardi di acquisti ha realizzato un potenziale risparmio per la Pa di 4,3 miliardi. Vale a dire che per gli stessi beni e servizi avremmo speso non 18 ma 22 miliardi operando fuori dalla piattaforma centralizzata. Applicando le stesse proporzioni alla spesa corrente delle grandi metropoli si otterrebbe un recupero di circa 3,6 miliardi. Certamente, è semplice fare i conti sulla carta, lo è meno calandosi nelle singole realtà così diverse sul territorio italiano. E tuttavia è utile per farsi un’idea del potenziale.

RISCHIO STANGATA
La sforbiciata voluta da Matteo Renzi non è stata gradita dai destinatari, i sindaci. «Una ripartizione dei tagli in misura uguale tra Comuni, Regioni e Stato è squilibrata», ha subito reagito Piero Fassino, primo cittadino di Torino e presidente dell’Anci. I Comuni minacciano la rivolta e il rischio è sempre lo stesso: che si riducano i servizi ai più bisognosi o che si finiscano per aumentare imposte, tasse, tariffe e canoni vari. Ma la pressione finanziaria, è già alle stelle e, sempre secondo un’indagine Uil, su 140 Comuni che hanno già fissato le aliquote Irpef 2014, ben 54 (pari al 38,6% ) hanno aumentato il prelievo, raggiungendo il tetto massimo consentito. Nel campione delle 12 grandi città considerate, le entrate da tributi locali (Imu, Irpef comunale, smaltimento rifiuti) ammontano a 8,5 miliardi pari al 30,8% delle entrate complessive (27,5 miliardi come si è detto). Altri 3 miliardi arrivano dallo Stato mentre le tariffe per asili nido, mense scolastiche, cimiteri, multe e canoni vari raggiungono 4,2 miliardi. Poi ci sono 5,3 miliardi per la spesa in conto capitale e 2 miliardi per l’accensione di mutui e prestiti.
E così a Roma, le entrate «proprie» rappresentano il 75% del fatturato del Comune. A Firenze, amministrata dal premier Renzi fino a pochi mesi fa, si arriva al 61,5%. Seguono Bologna (58,9%) e Torino (56,7%). La pressione fiscale procapite, valutata dal Dipartimento Uil, costa in media 1.331 euro a residente, neonati compresi. Milano è ben sopra la media con 2.141 euro per cittadino, Venezia è seconda con 2016 euro, Roma terza con 1606. Di più è difficile chiedere.

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