Se cadi in una buca stradale: cosa devi sapere

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Tombini, fosse, asfalto sconnesso: quando l’ente locale è responsabile e la procedura per chiedere il risarcimento del danno. Gli infortuni su strada non sono solo quelli in automobile. C’è un’ampia fetta di italiani, specie quelli di età avanzata, che quotidianamente inciampa su un tombino, sull’asfalto disconnesso o su un ostacolo presente sulla via pubblica e lasciato senza recinzioni dall’amministrazione. Le nostre strade, di certo, non brillano per manutenzione, ma c’è anche chi cammina con la testa tra le nuvole. Ed è proprio sul confine tra queste due situazioni che si gioca la partita del risarcimento del danno. Infatti, se anche il codice civile attribuisce una responsabilità oggettiva (ossia, anche se non c’è una colpa evidente) all’ente proprietario del suolo per tutti i danni provocati dai beni in sua custodia [1], la nostra giurisprudenza ha poi elaborato un principio più o meno condivisibile: “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”. Come a dire che è inutile lamentarsi di essere caduti in una buca se questa era facilmente visibile e poteva essere evitata con un minimo di accortezza. Nessuno ovviamente ci impone di guardare la strada ad ogni passo posato sull’asfalto, ma non si possono neanche guardare gli astri, specie di notte. Così, la prima linea guida da seguire quando si cammina è la prudenza. Il risarcimento del danno viene riconosciuto solo se l’ostacolo su cui si è scivolati, caduti o inciampati costituiva un’insidia o un trabocchetto. Una circostanza che va valutata in base all’uomo medio (quindi, a prescindere da eventuali problemi di vista), in condizioni di normale visibilità. Così, lo stesso ostacolo che di giorno potrebbe non costituire un’insidia e quindi non dar luogo a risarcimento, di notte potrebbe esserlo. Pertanto ai fini dell’indennizzo rileva anche l’orario in cui si è verificato l’episodio. Facciamo un esempio. Chi cammina per strada e scivola sul marciapiede bagnato non può chiedere al Comune il risarcimento dei danni riportati in seguito alla caduta, a meno che non dimostri che l’inciampo sia stato effettivamente determinato da una buca non visibile del marciapiede [2]. Ovviamente la presenza della buca deve essere imputabile all’omessa manutenzione del Comune e non, viceversa, a un terremoto appena verificatosi (in quest’ultimo caso si tratta di una forza maggiore che escluderebbe la responsabilità oggettiva). La richiesta di risarcimento Una eventuale richiesta di risarcimento dei danni andrà effettuata nei confronti dell’ente che ha la custodia del tratto di strada interessato (a mezzo lettera raccomandata o posta elettronica certificata). Di norma si tratta del Comune. Poiché resta fermo l’onere del danneggiato di dimostrare la dinamica del sinistro, è necessario – per quanto non sia di certo questo il primo pensiero dell’infortunato al momento della caduta – munirsi immediatamente delle prove dell’incidente. Le fotografie e le testimonianze di chi era presente al momento del sinistro andranno più che bene. Poi c’è bisogno della prova della “quantità” del danno subito: più è grave la lesione, più il risarcimento sarà alto. Pertanto è necessario procurarsi l’attestazione di un pubblico ufficiale, quale è il medico del pronto soccorso dell’ospedale che vi rilasci il certificato di accettazione e la diagnosi. Infine, conservate bene tutte le prove delle spese mediche sostenute. Tutto ciò, ovviamente, andrà prodotto all’amministrazione in un momento successivo, dopo la prima diffida (necessaria per interrompere la prescrizione e per non perdere il diritto al risarcimento). Attenzione: se il Comune non vi dà risposta e non ne vuol sapere, valutate attentamente se fare causa o meno. Questo perché, non solo il costo del giudizio oggi potrebbe sfuggire a ogni valutazione di convenienza, ma soprattutto molti enti locali hanno le casse disastrate e, pertanto, anche in presenza di una condanna al risarcimento, renderebbero difficilissima – se non ardua – la fase di recupero del credito.

[1] Art. 2051 cod. civ. [2] Così C. App. Taranto, sent. n. 46 del 28.06.2015.

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