L’abuso del diritto da parte delle polizie (locali e nazionali) rispetto al termine di notifica delle sanzioni stradali.

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Riferiva “Italia Oggi” (S. Manzelli, 27 novembre 2014, Pag 34) che “in Lombardia la vicenda degli autovelox attivati nel marzo scorso su sette strade altamente trafficate del capoluogo ha sballato completamente le previsioni sanzionatorie portando il numero delle multe accertate in sei mesi ad un totale di oltre 740mila… questo aumento di sanzioni ha congestionato l’ufficio multe meneghino che per riuscire a far fronte all’impressionante mole di lavoro ha adottato come prassi quella di fare decorrere il termine di novanta giorni per la notifica delle multe non dalla data del fotogramma ma da quella in cui gli operatori lo visionano”.

Sullo stesso tema, si leggeva lo scorso primo dicembre (il sole 24 ore M.Marraffino) che: “il giudice di pace di Milano con la sentenza 13347 depositata il 20 novembre 2014 ha confermato le osservazioni del Ministero dell’Interno il quale, rispondendo alla prefettura di Milano con la nota 16968 del 7 novembre scorso ha bocciato la prassi del comune di notificare i verbali oltre i termini consentiti dalla Legge”.

La stessa testata giornalistica, in data 11 dicembre 2014 è tornata sull’argomento (M.Caprino, pag. 48) rappresentando –in margine al dibattito tra il Ministro Lupi e l’assessore Granelli- che il termine per la notifica decorre “dalla data di infrazione, richiamando il principio espresso dalla sentenza n°198/1996 dalla Consulta, secondo cui i termini partono dalla data in cui è posta in grado di individuare l’infrazione (e non da quella in cui lo fa materialmente).

Nello stessa giornata, Italia Oggi (pag. 29, G. Galli), riprende alcune parole del ministro “l’interpretazione estensiva del dies a quo non può essere considerata legittima e i comuni si devono adattare”.

Orbene, Milano, per dimensione e numeri, costituisce una cassa di risonanza tanto ampia da meritare, a stretto giro, ripetuti rilanci sulle testate nazionali e notevoli manifestazione d’interesse da parte della politica del medesimo rango.

Il fatto che sia stata la Polizia Locale di Milano a compiere (usando una terminologia dottrinale civilistica) “abuso di diritto”, nel nascondere una prassi distorta  dietro un sano principio giurisprudenziale, ha –per conseguenza- portato alla ribalta qualcosa che, lungi dall’essere vissuto solo nella città meneghina, viene praticato da moltissime altre polizie, coperte dalla diffusa ignoranza (tecnica) dei sanzionati, dalla fiducia di questi nelle istituzioni, dall’effetto “sconto” conseguente al pagamento nel termine brevissimo di cinque giorni e dalla minore evidenza che ha, chi si è messo su questo solco, rispetto ad un organismo che è sullo specchio come solo a Milano si può essere.

Sulle pagine di questa rivista, abbiamo avuto, almeno in un paio di occasioni, la capacità di segnalare l’esistenza di affermazioni giurisprudenziali utili a garantire la legittima dilatazione del termine per la notifica dei verbali.

In ciascuna di quelle segnalazioni, chiunque sia stato l’autore, si è sempre narrato il “fatto” ancor prima che trattare del “diritto”, proprio per contestualizzare la fattuale giustezza della pretesa dell’amministrazione, nel caso di specie, che aveva consentito di far decorrere il termine di accertamento della violazione non nel primo momento di approccio all’illecito, ma solo quando fosse consolidata la rete delle informazioni utili a considerare “accertabile” l’illecito.

Non v’è dubbio che chi voglia trarre a suoi scopi deviati una informazione di tal fatta, è libero di farlo, assumendone personalmente le responsabilità. Così le difficoltà organizzative degli uffici vengono ingiustificatamente scaricate sugli utenti, trasfigurando la lentezza per attività di accertamento complessa.

In disparte la giustezza di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n°198/1996, non ho mai trascurato di rappresentare come la sentenza (da me diffusamente rievocata in corsi di formazione e convegni) Cons. Stato Sez. VI, 04/11/2013, n. 5286 (autentico leading case, in materia) si componga di due parti:

  • la prima recita: “qualora non sia avvenuta la contestazione immediata della violazione, l’attività di accertamento dell’illecito, in relazione alla quale collocare il dies a quo del termine per la notifica degli estremi della violazione, non può coincidere con il momento in cui viene acquisito il ‘fatto’ nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti gli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione correlata alla complessità, nella fattispecie, delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione”;
  • la seconda parte afferma: compete, poi, al giudice di merito – cui è consentito di esaminare tutti gli atti relativi all’accertamento e di richiedere che l’autorità specifichi quali accertamenti, indispensabili ai fini delle indagini sopra indicate, abbia eseguito e quale ne sia stata la durata – determinare il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una simile, completa conoscenza, in modo da individuare il dies a quo di decorrenza del termine, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità, comunque, che tali indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo (in tal senso: Cass. Civ., I, 4 febbraio 2005, n. 2363; similmente: Cass. Civ., II, 16 settembre 2010, n. 19591)”.

Su questa seconda parte gli addetti ai lavori non amano soffermarsi….. salvo lamentarsi del giudice di pace, quando annulla il verbale e, con esso, distrugge prassi ingiuste e distorte.

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