Intervento del Presidente della Repubblica alla XXX Assemblea Annuale dell’ANCI


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Firenze, 23 ottobre 2013
…. Mi limiterò ad offrire qualche spunto di riflessione sul ruolo dei Comuni nella fase attuale di faticoso passaggio che il paese sta vivendo e nella prospettiva di cambiamento e di nuovo sviluppo cui esso deve tendere.
Punto di partenza : sul piano istituzionale, i Comuni costituiscono il fronte più vicino ed esposto alle sfide della quotidianità, a tutte le manifestazioni di malessere sociale e civile e alle istanze che ne scaturiscono, così come alle emergenze naturali e ambientali che scoppiano improvvise o che si è nel tempo mancato di prevenire. Di qui l’affanno in cui vi trovate, le difficoltà dell’azione immediata
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che non può mancare da parte vostra e dello sforzo di progettazione cui non potete rinunciare.
1)I Comuni e in loro nome i Sindaci come promotori e forti assertori di quel rinnovamento istituzionale che dopo una lunga serie di omissioni e ritardi ancora fatica a prendere corpo, cozza contro ostacoli e resistenze molteplici, richiede apporti ulteriori di chiarificazione e, non meno, di mobilitazione collettiva.
2)I Comuni come luogo cruciale di aggregazione tra i cittadini, di recupero della partecipazione e della fiducia politica, e penso al contributo che di qui può venire per suscitare un rinnovato interesse di base, nei prossimi mesi, per una grande e decisiva causa, come quella dell’unità e dell’iniziativa europea.
Sul primo tema (ben presente nella relazione del Presidente Fassino), mi
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proposi, io stesso, come si ricorderà, il 30 marzo scorso, di favorire un primo sforzo ricognitivo e propositivo con la costituzione di un gruppo di lavoro, destinato a suggerire, in breve giro di tempo, una prima traccia di orientamenti in materia di riforme istituzionali in vista della formazione di un governo, in quel momento ancora in fieri a oltre un mese di distanza dall’elezione del nuovo Parlamento.
L’apporto, già significativo, di quel ristretto gruppo di lavoro, è poi confluito nella più impegnativa ricerca affidata dal governo Letta all’ampia e qualificata “Commissione per le riforme costituzionali” che ha rassegnato la sua Relazione finale poco più di un mese fa. E tra non molto la parola passerà al Parlamento, allo speciale Comitato espresso dalle Commissioni affari costituzionali di
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Camera e Senato, facendo così entrare in una fase decisiva il percorso procedurale e temporale già concordato o in via di perfezionamento con l’approvazione di norme marginalmente modificative – a fini di snellimento dell’iter – dell’art. 138 della nostra Carta.
Dirò subito come la tematica delle riforme costituzionali si incroci in modo essenziale con quella delle autonomie locali di vostro più diretto interesse. Ma soprattutto essa fa tutt’uno con il discorso sulle condizioni di un rilancio dello sviluppo, e di un più degno e dinamico futuro, per l’Italia, per la nostra nazione nel contesto europeo e mondiale. Abbiamo un bisogno drammatico di liberarci da contraddizioni antiche e recenti, da radicate e paralizzanti pastoie, che impediscono un più ampio dispiegarsi di energie e potenzialità che il nostro paese pure
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possiede. Abbiamo bisogno di forti cambiamenti, oggettivi e soggettivi, di strutture, di indirizzi politici, e insieme di mentalità e di comportamenti.
E tra le contraddizioni e le inefficienze di cui liberarci, ci sono quelle istituzionali. Perché lì risiede una non marginale, ma pesante concausa della stagnazione, della perdita della capacità di crescere e di competere della nostra economia, con le conseguenze provocate o messe a nudo dalla crisi di questi cinque anni, in primo luogo – quel che più vi preme e ci assilla tutti – l’impennarsi della disoccupazione, il cronicizzarsi di un fenomeno di scarsa, fragile, scadente occupazione per i giovani.
Il tema delle riforme istituzionali e costituzionali è dunque ormai ineludibile. Non se ne può più discutere a vuoto. Non ci si può più girare attorno. C’è l’occasione, oggi, in questo 2013-2014, di giungere a
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delle conclusioni valide, più o meno comprensive di molteplici necessità : ed è un’occasione da non sprecare, se non vogliamo condannarci a un riflusso pessimistico senza rimedio, e compromettere anche quel che si sta facendo e si deve ancora fare sul terreno delle politiche di crescita e di sviluppo economico-sociale.
E allora non si possono giustificare e subire in proposito posizioni difensive e conservatrici ; bisogna rispondere al visibile coagularsi di posizioni di ogni provenienza che confluiscono in un fronte di resistenza conservatrice, ben al di là di osservazioni e controproposte di merito. Bisogna far valere col massimo sforzo argomentativo e persuasivo le ragioni e le proposte del cambiamento istituzionale e costituzionale. Faccio appello, cari Sindaci, cari rappresentanti dei Comuni d’Italia, al
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vostro apporto in questo senso : un apporto fondato sulla vostra esperienza di governo, sul vostro rapporto con i cittadini, sulla vostra visione dell’interesse nazionale.
E lasciate che vi dica qualcosa di personale per motivare ulteriormente l’accento forte, anche polemico, che pongo su questo tema. Sono stato, in tutto il lungo corso della mia attività politica e istituzionale – nelle diverse ottiche della dirigenza di partito, dell’opposizione parlamentare, e infine dell’impegno non più di parte in funzioni di guida istituzionali – sempre un convinto e appassionato assertore della Costituzione repubblicana. Dei principi, dei valori, degli indirizzi, sanciti nella prima parte della Carta, ho continuato ad essere, e sono stato più che mai da Presidente della Repubblica, orgoglioso portatore ; e ho assolto al mandato di garantire equilibri istituzionali
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riformabili ma non arbitrariamente alterabili.
Peraltro, attraverso discussioni e confronti che nacquero in Parlamento esattamente trenta anni fa con una prima Commissione bicamerale per le riforme, e vivendo le esperienze del governo delle istituzioni repubblicane, sono giunto alla convinzione che ormai per far vivere e condividere quel magistrale quadro di riferimento che è la prima parte della nostra Carta, non si può ulteriormente mancare di rivederne la seconda parte, le norme – già nate con riconosciuti punti deboli – relative all’ordinamento della Repubblica.
E vengo a quel che più direttamente vi tocca : la revisione, la riforma dell’architettura istituzionale, per usare l’espressione di Fassino, una riforma che intervenga sia sulle istituzioni apicali, Parlamento e governo, sia sul sistema delle
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autonomie regionali e locali, in un intreccio che appare chiaramente inscindibile. La cosa migliore è in questo momento partire – in un dibattito che auspicabilmente si sviluppi in profondità, anche attraverso la vostra iniziativa – dalle valutazioni e proposte, aperte peraltro a diverse opzioni, presentate dalla relazione della Commissione che ho già richiamato. Essa affronta anche la revisione del testo attuale del Titolo V della Carta : un caso speciale di riforma della riforma, che a distanza di dodici anni si impone.
Non si tratta di “tornare indietro”, si sottolinea in uno degli “approfondimenti” allegati alla relazione (quello del prof. Caravita) “né tantomeno di essere antiregionalisti”, ma “di concepire una riforma che si muova veramente nell’interesse della collettività nazionale nel suo essere inserita in un processo di
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federalizzazione europea“. E ciò tenendo conto di un concitato intensificarsi in sede europea – sotto la pressione della crisi di questi anni – dei rapporti di integrazione tra gli Stati nazionali, in una prospettiva incerta e controversa di costruzione di un’Europa federale. L’intreccio tra questo processo e lo sviluppo del filone federalistico all’interno degli Stati si è fatto più problematico, e ha condotto ad esempio alla riforma del federalismo tedesco nel 2006.
Quel che in particolare è accaduto in Italia si può – secondo l’”approfondimento” del prof. Augusto Barbera – leggere come una “caotica sovrapposizione di discipline statali e regionali” con grave danno per interi settori dell’economia oltre che per la certezza del diritto. Di qui la necessità, piuttosto che denunciare una volontà di “ricentralizzazione” che sarebbe prevalsa e
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quasi auspicare il ristabilirsi della situazione preesistente, di operare incisive revisioni di alcuni criteri ispiratori del Titolo V come quello della ripartizione delle competenze per materia. Si suggerisce di puntare invece sulla “distinzione delle funzioni in relazione ad obbiettivi” e di rafforzare una cooperazione entro il contesto nazionale unitario che è lo Stato, così infelicemente collocato nella dizione attuale dell’articolo 114.
Aggiungo, di mio, che vedo in questo contesto di rinnovata cooperazione nel comune interesse nazionale, anche le recenti innovative proposte del governo per una politica di coesione territoriale, affidate anche all’Agenzia di nuova costituzione e finalizzata a un impiego finalmente pieno, razionale, produttivo delle ingenti risorse dei Fondi europei specie nel Mezzogiorno. Mi auguro che a
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questa visione cooperino le Regioni, evitando approcci autoreferenziali e dispersivi. Così come vedo nello stesso contesto di rinnovata cooperazione nazionale l’idea del finanziamento, sul Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, di un programma di “interventi pilota” per le Aree interne del paese.
La direzione in cui così ci si muoverebbe richiede riflessione aperta e critica da parte delle Autonomie, ma non smentisce in alcun modo il principio autonomistico e i riconoscimenti concreti che ne sono scaturiti. Non si smentiscono nemmeno indirizzi posti a base della legge sul federalismo fiscale, come quello del rapporto tra autonomia e responsabilità in quel campo cruciale ; e anzi è da sollecitare una verifica del percorso di quella legge, rimasto quasi in un limbo.
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Infine la revisione del Titolo V non può non collegarsi all’indispensabile superamento del bicameralismo paritario e alla nascita di un nuovo Senato, che faccia da ponte tra legislatori, statale e regionale, e arricchisca l’articolazione e le funzioni complessive del Parlamento, pur affidando alla sola Camera dei Deputati la funzione dell’investitura politica e l’ultima parola nel processo legislativo.
Sul tema delle riforme costituzionali mi fermo qui, avendo semplicemente valorizzato il telaio offerto dalla recente relazione della Commissione coordinata dal ministro Quagliariello e avendo stimolato, anche con legittimi, credo, accenti personali, un vigoroso impegno vostro a concorrere al raggiungimento di obbiettivi vitali per il paese.
Sento però di dover qui richiamare anche la necessità di un’altra riforma
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urgente : quella della legge elettorale, per regolare su basi più lineari la competizione per il governo in un’effettiva “democrazia dell’alternanza”. E si tratta, com’è noto, innanzitutto di recepire i rilievi già espressi dalla Corte Costituzionale su punti importanti del testo vigente, che d’altronde da lungo tempo i rappresentanti di tutte le forze politiche avevano dichiarato di voler riformare. Non ritorno sulle dure osservazioni che feci in proposito e sull’aspettativa di conclusioni non più eludibili, che dichiarai in Parlamento lo scorso 22 aprile in occasione della mia rielezione.
Ma stiamo giungendo ora ad un nuovo limite estremo a questo riguardo : l’esame della questione cui la Corte Costituzionale è stata chiamata e che essa condurrà nell’udienza fissata per il 3 dicembre. La dignità del Parlamento e delle stesse forze
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politiche si difende non lasciando il campo ad altra istituzione, di suprema autorità ma non preposta a dare essa stessa soluzioni legislative a questioni essenziali per il funzionamento dello Stato democratico. Non è ammissibile che il Parlamento naufraghi ancora, a questo proposito, nelle contrapposizioni e nell’inconcludenza.
Caro Presidente, cari amici, ho consumato il mio tempo e non me ne resta per lanciare – se non con poche parole – l’appello che avevo immaginato affinché contribuiate a rilanciare il tema dell’unità e dell’integrazione europea, tra i cittadini, Comune per Comune, nell’avvicinarsi di una prova tra le più difficili per l’Europa, sul piano del consenso attorno agli ideali e alle conquiste della storica scelta di 60 anni fa e a serii indirizzi di rinnovamento del progetto e del modo di essere dell’Unione.
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Avevo accennato all’inizio al perché di questo appello : al fatto cioè che vedo i Comuni come luogo cruciale di recupero della partecipazione e della fiducia politica. E quanto ne abbiamo bisogno ! Quel recupero è arduo, lo sappiamo, a causa delle insufficienze e distorsioni della politica quale è stata e ancora viene praticata. Ma è arduo anche perché la vita pubblica e l’opinione dei cittadini sono condizionate e deviate da un’onda diffusa e continua di vociferazioni, di faziosità, di invenzioni calunniose, che inquinano il dibattito politico e mirano non solo a destabilizzare un equilibrio di governo ma a gettare ombre in modo particolare sulle istituzioni di più alta garanzia e di imparziale e unitaria rappresentanza nazionale.
Mi auguro che a ciò si sappia reagire in diversi ambiti, compreso quello
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dell’informazione, così delicato e così esposto a quelle fuorvianti tendenze.
C’è comunque chi ha il dovere – per la responsabilità che gli spetta – di non cedere a un clima avvelenato, magari per mettersi al riparo da provocazioni che impunemente tendono a colpirlo. In questo spirito, di recente, non mi sono sottratto al dovere giuridico, costituzionale e morale di porre con forza all’attenzione del Parlamento, la drammatica condizione delle carceri e della popolazione carceraria, e l’obbligo di ottemperare con urgenza alla pesante sentenza e ingiunzione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Di quel messaggio al Parlamento – con cui si indicavano dati di fatto, cifre non occultabili e scadenze non eludibili, e nello stesso tempo si suggeriva una gamma di possibili rimedi e interventi – è stata da più parti alimentata una
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rappresentazione contraffatta, grossolanamente strumentale.
Ringrazio quanti in Parlamento e nel pubblico dibattito hanno mostrato di intendere il messaggio nella sua reale ispirazione e portata, intervenendo con argomenti di particolare qualità. Il Parlamento farà in assoluta libertà le sue scelte e se ne assumerà la responsabilità. A voi debbo solo dare assicurazione del mio fermo intento di non sottrarmi a nessun adempimento per scomodo o facilmente aggredibile che sia, purché rientri nei doveri e nei limiti del mio mandato. Quei doveri e quei limiti costituzionali che in egual misura ho sempre scrupolosamente osservato.